Tra passato e futuro, il tempo della Chiesa.
di Giuseppe Gravante, VI Domenica di Pasqua – Anno A – 17 maggio 2020
At 8, 5-8.14-17; 1Pt 3, 15-18; Gv 14, 15-21
Acclamate Dio, voi tutti della terra.
La Parola di Dio proclamata in questa VI Domenica di Pasqua, presenta connotazioni particolari: è abbastanza difficile poterla definire e inquadrare; basti pensare al vangelo che, in più occasioni, appare quasi “esagitato”, “spericolato” e persino “imprudente”.
La situazione, teatro dell’evento, vede Gesù parlare ai suoi discepoli. Nel discorso si nota come il linguaggio del Maestro ondeggia tra l’utilizzo di verbi coniugati al presente e verbi al futuro; tutto il testo si esplica tra le trame di una dinamica compresa tra attesa e possesso e tra promessa e realizzazione.
Gesù incontra dei discepoli ancora scioccati dalle sue parole: «Ancora per poco sono con voi… dove vado io, voi non potete venire» (Gv 13, 33). Il Signore si rivolge ai discepoli; essi si sentono abbandonati, sconsolati ma egli vuole rassicurarli e consolarli. Gesù promette loro di non abbandonarli. È certo però, che questo testo interpella anche noi e, indubbiamente, possiamo riconoscerci in quel vedere che è esperienza di tutti i credenti: la visione nella fede. La promessa centrale di questo brano, allora, è dunque relativa al ritorno di Gesù: «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» e ora possiamo comprenderla come promessa della sua presenza costante nel tempo.
Il discorso giovanneo è decisamente ardito. Esso parla di una presenza, di una profonda comunione che si inscrive anche nel cuore dei discepoli: «Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi» (Gv 14, 20). Giovanni delinea i tratti del legame di amore tra Dio e il credente e, questo, difatti, rappresenta un unione esistenziale, concreta e pratica. Va tuttavia osservato che, la presenza promessa, pur essendo un dono, è ricevibile solo in relazione a una decisione di vita: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti…Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14, 15.21). In tal senso, l’amore non è riducibile a evanescente sentimentalismo. Gesù è chiaro: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15, 17). L’amore cristiano è modellato dal suo: denaturato, invece, se non radicato in questa dimensione.
Tra il passato e il futuro del compimento, c’è il presente, il tempo della Chiesa e il nostro; un tempo animato dallo Spirito, vero garante delle sue promesse. Gesù parla dello Spirito come «Spirito di verità» (Gv 14, 17); la sua presenza ci apre alla comprensione della Parola e alla testimonianza. Il vangelo di questa domenica è, dunque, “spericolato”! Ma tale “spericolatezza” dischiude la riflessione sul nostro rapporto con il tempo: col futuro, che è il tempo del pieno compimento e col presente, che è il nostro tempo, animato dallo Spirito.
Giuseppe Gravante