Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando”.
Uno dei peggiori modi per relazionarsi è quello d’essere inquinati dal pregiudizio. Senza conoscere, senza fare esperienza di conoscenza e frequentazione, si presume di catalogare le persone secondo schemi personali e, quindi, riduttivi, miopi. La conoscenza personale, l’interscambio, la fiducia ci consegnano sempre delle persone diverse da quelle che, aprioristicamente, avevamo giudicato. Conosciamo mondi sconosciuti e ci sorprende la realtà che appare diversa dalla nostra immaginazione. Si, molte volte, quasi sempre, la realtà mette a nudo, scopre le bugie, gli inganni della nostra fantasia. Gli antichi dicevano che per conoscere a fondo una persona bisogna mangiare insieme una “ruva” – antica misura che equivale a 75 kg – di sale.
Lo stesso metro è stato utilizzato dai compaesani di Gesù che, dopo averlo ascoltato, meravigliati e stupiti, dicevano: ”Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”.
Qual è il pregiudizio dei compaesani di Gesù? Perché conoscevano lui e la famiglia umile, non potevano accettare che simili cose si compissero nella semplicità e nella ferialità. Si aspettavano cose grandi non da uno mimetizzato tra di loro, operaio come loro, povero. Credevano che Dio si doveva manifestare nel sensazionale, nel portentoso. Non da carpentiere, nascosto in una qualunque famiglia. “Noi cerchiamo Dio, il pastore di costellazioni, nell’infinito dei cieli, quando invece è inginocchiato a terra con le mani nel catino per lavarci i piedi”.
E’ più abbordabile un Dio lontano, nascosto, potente, piuttosto che volgarizzato e mischiato nell’umanità semplice. Un Dio a portata di mano, un Dio della porta accanto, scandalizza. Dio deve scendere dal cielo e non uscire dalla bottega di un artigiano. Chissà perché dobbiamo essere noi i navigatori di Dio, consigliargli la strada da percorrere o la provenienza da scegliere. Ecco il pregiudizio. La presunzione di sapere. Nessuno è più schiavo di chi soggiace a degli schemi prestabiliti e di chi ricalca cliché preordinati.
Certo, Dio, sconvolge tutti i progetti, tutte le attese, ci costringe a guardare dalla parte opposta da dove noi ci attendiamo la sua venuta. Lo aspettiamo dal cielo e lui viene dalla terra. Vorremmo la potenza e lui si rivela nella debolezza. L’umano ci svela il divino. Dio ha il volto di un uomo, per giunta di uno qualsiasi, di un carpentiere. Allora dobbiamo essere permanentemente allertati: Dio lo possiamo trovare ovunque, soprattutto da dove non ce lo aspetteremmo mai. Anche un filo d’erba del prato, anche un respiro affannoso del povero, anche un rantolo di morte di un abbandonato, anche un’esclusione sociale del povero, ci possono squarciare il cielo per rivelarci l’apicale bassezza di Dio.