Nel deserto la riconciliazione con Dio.
Gen 9, 8-15; 1Pt 3, 18-22; Mc 1, 12-15
Tutti i sentieri del signore sono amore e fedeltà.
Con il diffondersi del peccato nel mondo, la storia umana precipita inesorabile nell’oscurità. Tutto questo – seppur figuratamente – è causa di dolore in Dio, il quale decide per la “soluzione finale”: il diluvio.
Al termine delle abbondanti piogge, però, ogni cosa da lui creata si rigenera, si purifica dal sapore amaro del peccato; questo è lo scenario in cui Dio sancisce l’alleanza con Noè, un patto dal valore cosmico il cui segno è l’arcobaleno. Dio stesso desidera suggellare l’incontro stabilendo che non ci sarà mai più distruzione, egli desidera investire tutto il creato di una volontà creatrice e non distruttiva: «voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future» (Gn 9, 12).
La Quaresima, in questa logica, è il tempo da dedicare alla conversione, al lavoro di rigenerazione della fede e alla sua conseguente immedesimazione nella vita. La liturgia a essa propria trova una potente immagine nel “deserto”; è questo, infatti, il luogo in cui si sperimenta la solitudine e l’amarezza. In esso si strutturano i movimenti propri all’analisi interiore; qui, l’opera di discesa e di scavo nel proprio cuore unita alla lotta contro la sfiducia, trova soluzione.
Gesù stesso sperimenta il deserto, egli vi «rimase per quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1, 13). Gesù – ricordiamo – era stato da poco battezzato da Giovanni. Sempre da poco emerso dalle acque e trovatosi alle prese con il suono di una voce per lui costitutiva: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1, 11). Ed è proprio a cominciare da questa certezza che decide di entrare nel deserto. Marco, a differenza degli altri sinottici, non enumera e non specifica le tentazioni subite da Gesù. Per lui, semplicemente, Gesù fu tentato. Il deserto, allora, è per Gesù il luogo della verifica, lo spazio nel quale si determina la coerenza alla voce udita presso il Giordano.
Satana è il tentatore, colui il quale istiga l’uomo a deviare dal suo percorso. È lui, sempre lui: l’accusatore e l’avversario, la tendenza al male che alberga nel cuore dell’uomo, il divisore. Gesù sperimenta la tentazione di essere un messia dalle vie alternative a quelle del Padre, di essere un profeta che annuncia la Parola in autonomia. La tentazione di Gesù è la medesima che l’uomo si trova ad affrontare quotidianamente: discostarsi dal Padre e agire autonomamente.
Tuttavia, nel deserto, Gesù rimane e resiste, affronta la prova e la vince. Per Gesù – come per noi – reagire negativamente all’azione dello Spirito potrebbe essere una tentazione. In altri termini, all’inizio del cammino quaresimale, la prima tentazione è proprio quella di evitare la tentazione, nel senso di evitare la prova. Marco dice che Gesù nel deserto «stava con le bestie selvatiche e «gli angeli lo servivano» (Mc 1, 13). Gesù, insomma, è il nuovo Adamo. Vive in armonia con il creato e con Dio. Lo «stare con le bestie selvatiche» di Gesù è il segno di una riconciliazione cosmica; è anticipazione dell’escatologia; è l’adempimento dell’alleanza fatta da Dio con Noè e siglata nell’arcobaleno.
Come Gesù siamo tentati. La nostra tentazione è il lasciarsi abbandonare alla disperazione, alla sfiducia e al distacco da Dio. La vittoria di Gesù, però, ci apre alla possibilità di perseverare in quella fede che salva, che ha come contenuto e speranza il Vangelo.
Giuseppe Gravante