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Cucire di fede e speranza la distanza tra noi e Dio

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Cucire di fede e speranza la distanza tra noi e Dio

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II Domenica di Quaresima 

Cucire di fede e speranza la distanza tra noi e Dio

 (Genesi 12, 1-4°; 2 Timòteo 1, 8b-10; Matteo 17, 1-9)

Ascoltiamo il Vangelo:

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“In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”.

Nella letteratura biblica i monti non sono solo dei riferimenti geografici ma sono i luoghi scelti da Dio per rivelarsi ai suoi interlocutori. “Indici puntati verso il mistero” (Ermes Ronchi). Occorre scalarli per incontrare Dio. L’Horeb-Sinai, Moira, Sion, monte delle beatitudini, monte degli ulivi, Golgota – calvario sono tutti luoghi dove l’uomo ha incontrato Dio. Su questi monti l’uomo vi è salito da solo chiamato da Dio. Gesù stesso in obbedienza al padre ha scelto di abitarli. Vi è una montagna, quella delle beatitudini, dove Gesù, quasi prende per mano Pietro, Giacomo e Giovanni e li accompagna sulla sua sommità. 

Lì, davanti a loro, si trasfigura, si trasforma. Appare ad essi rivestito e avvolto di luce. Per incontrare Dio occorre intraprendere i sentieri dell’altitudine. Elevarsi dalle nostre sabbie mobili. Liberarsi dalle nostre zavorre che ci tengono incatenati. Sciogliere le catene del pregiudizio, dello scarto che ci rendono schiavi. Mettersi in cammino. Colmare la distanza tra noi e Dio. Occorre cucire di fede e di speranza la distanza tra noi e lui. Solo allora sperimenteremo le vertigini dell’altitudine alla quale siamo chiamati.

L’uomo è fatto di terra, fango. La terra e il fango permangono residuati al suolo. L’essere immagine e somiglianza di Dio, essere da lui chiamati ad elevarci significa che occorre elevarsi. Non rimanere adagiati al suolo. Questo vale per tutto. Dai pensieri, agli atteggiamenti, dalle scelte, alle abitudini comportamentali.

È bello, esaltante, gratificante e nello stesso tempo incoraggiante considerare che il cammino che si intraprende per ascendere non è in solitudine, ma con la compagnia di Gesù. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte”. Quasi presi per mano, come dei bimbi incerti. Accompagnati. Gesù non ci lascia mai soli, sempre lui sulla barca della nostra vita, sul cammino della nostra esistenza. Proprio come quando esorta gli apostoli: “Passiamo all’altra riva”. Passiamo, insieme. Io con voi. Io per voi. Allo stesso modo guida Pietro Giacomo e Giovanni a salire sul monte.

Dio ci raggiunge nei nostri intrighi. Nelle nostre pozzanghere. Vede le nostre delusioni. Ascolta il nostro grido. Non rimane insensibile. Si fa compagno di cammino e ci esorta a seguirlo. Ci prende per mano e ci guida alle altitudini del suo amore, della sua paternità. E tutto si trasforma, viene investito di luce tanto intensa che si desidera il prolungamento di quel momento. Si chiede la residenza in quello stato e modo di essere. Pietro a nome degli altri due chiede di fare tre tende. Vuole dare stabilità a quanto esperito. Ma Gesù invita a riprendere il cammino. Quel sorso di luce intensa diventa come scintilla per il fuoco ma nell’ordinario del cammino quotidiano. Ma dal cielo hanno sentito un invito ad essere docili ascoltatori della voce del Figlio. Ogni volta che si ascolta il Figlio, nella nostra vita accade una trasformazione. E tutto cambia. Dal grigiore del bianco e nero si passa alla vivacità della cromatura. Della trasformazione. Lasciamoci prendere per mano da Dio e permettiamogli di guidarci, accompagnarci alle sue altitudini.

Solo allora, anche noi, come Pietro, diremo che “è bello per noi stare qui”. Qui! Ovunque perché quando c’è gioia e pace, quando il cuore è posseduto dall’amore non importa il luogo ma la persona con cui sto. Ogni cosa diventa illimitata perché è nutrita dall’amore e l’amore è infinito, illimitato.

Don Benito Giorgetta

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Don Benito Giorgetta
Don Benito Giorgetta
BENITO GIORGETTA (1955), sacerdote della diocesi di Termoli-Larino, parroco di San Timoteo in Termoli (Campobasso), licenziato in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia. Dottore in Bioetica, è giornalista pubblicista. Già docente di Teologia Morale della Sessualità e Bioetica presso l’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano di Chieti. Presidente dell’Associazione “Iktus – Onlus”.

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