II Domenica di Avvento
Il lampione regge la luce ma non è la luce
(Isaia 40,1-5.9-11; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)
Ascoltiamo il Vangelo:
“Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo»”.
Giovanni Battista, avendo un grande seguito e un forte consenso popolare, era considerato quasi il Messia atteso dalle genti. Lui stesso, consapevole della sua condizione, dissipa tutte le nebbie e predica la verità: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”.
Grande umiltà la sua. Riconosce il suo ruolo, la sua funzione e missione. Lui è il preparatore. Indica la strada ma non è lui la strada. Indica la luce ma non è lui la luce. Il lampione difatti regge la luce ma non è lui la luce. Lui è la voce ma dopo di lui viene la Parola.
Prima che sorga il sole c’è l’alba che fa intravvedere lentamente il sorgere della luce. Sincronicamente c’è una regressione dell’oscurità e la crescita sempre più intensa della luminosità. Fino a che la prevalenza della luce ingoia completamente le tenebre. Giovanni il Battista sta a Gesù come l’alba al sorgere del sole. E di tutto questo lui ne è consapevole,al punto che lo grida, lo proclama. Lui precede, indica, fa strada e. al momento opportuno si fa da parte perché arriva colui che lui stesso ha annunciato, atteso.
Il più contiene il meno. Il meno è contenuto e superato dal più. Gesù è “il più forte” perché parla al cuore, perché dona totalmente sé stesso, perché vuole che ognuno sia più forte partendo dalla propria condizione. Anche il profeta Isaia ha esortato ad alzare il capo, a guardare in alto e lontano perché, ha promesso, non rimarremo schiavi di noi stessi. Schiacciati dai nostri errori, legati alle nostre debolezze, inchiodati alle nostre cadute. La debolezza, la fragilità, la sconfitta fanno parte del raggiungimento del fine.
Quando due squadre si affrontano in una gara sportiva una perde e una vince ma fino a che non termina la partita, fino a che non c’è il fischio terminale dell’arbitro ognuna delle due, anche se momentaneamente perdente potrà risultare vincitrice. Dio ci vuole tutti vincenti. Ma c’è solo un modo per poterlo essere tutti e sempre. È l’amore l’unica realtà che quando vince rende sereni, felici e vincenti tutti. Quando vince l’amore nessuno perde.
Tutti coloro che, perché cristiani, si riconoscono in questa logica sono chiamati a gridare, a diventare profeti, annunciatori, testimoni. Ogni battezzato deve essere lievito, fermento. La libertà sperimentata deve essere annunciata, donata.
Gesù annunciato da Giovanni è il guaritore del grande disamore che regna nel mondo. Della delusione che appesantisce ogni animo, della tristezza che annebbia e sterilisce i cuori. Sperimentato tutto questo chi se ne è nutrito deve nutrire. Chi ha ricevuto ed accolto indicazioni per raggiungerlo deve indicare. Consapevoli come lo fu il Battista che dopo di noi viene uno che è il più grande di tutti. Perciò lo attendiamo.