HomeAttivitàCaritas e MissioniPASQUA 2015: RIFLESSIONE DI UN SACERDOTE MISSIONARIO IN BRASILE

PASQUA 2015: RIFLESSIONE DI UN SACERDOTE MISSIONARIO IN BRASILE

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PASQUA 2015: RIFLESSIONE DI UN SACERDOTE MISSIONARIO IN BRASILE

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LASCIAMOCI GUIDARE DALLA GIOIA DELLA RISURREZIONE!
Una riflessione per la Pasqua 2015 di Don Mario Pellegrino, sacerdote fidei donum in Brasile

È questa la verità della Pasqua, è questo il grido di giubilo che percorre oggi di nuovo il mondo, è questo l’annuncio che fa fremere il cuore dei credenti: Cristo è risorto!

La Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre feste, è “la festa delle feste”, così come l’Eucaristia è il sacramento dei sacramenti, perché la risurrezione di Cristo è il supremo intervento di Dio nella storia. La risurrezione è il sigillo dell’autenticità divina di Cristo e della verità del suo Vangelo. La risurrezione, infatti, attesta che Cristo è veramente quello che ha affermato di essere, il Figlio di Dio. Celebrare la risurrezione, allora, significa gridare che Cristo è vivo e continua ad amarci.

Sembrerà banale ripeterlo e tuttavia è l’unica verità: la vita trova senso solo nell’esperienza dell’amare e dell’essere amati; tutti siamo alla ricerca di un amore con i tratti di eternità, perché dire a qualcuno “Ti amo” equivale ad affermare “Io voglio che tu viva per sempre”.

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Riflettere sul senso della Pasqua significa allora testimoniare che Gesù è risorto da morte perché la sua vita è stata amore vissuto per gli uomini e per Dio fino all’estremo: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” come ricorda Giovanni nel suo Vangelo. Gesù è stato risuscitato da Dio in risposta al suo modo di vivere nell’amore fino all’estremo; il suo amore è stato più forte della morte, quell’amore insegnato ai discepoli durante la sua vita, quell’amore divenuto il comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri come-perché io vi ho amati”.

È in quest’ottica che possiamo comprendere il cammino compiuto dai discepoli per giungere alla fede in Gesù Risorto e Signore, affinché oggi anche noi possiamo percorrere lo stesso cammino di fede e di amore.

Cosa è successo nell’alba di quel “primo giorno dopo il sabato”? Alcune donne e alcuni uomini discepoli di Gesù si sono recati al sepolcro e l’hanno trovato vuoto; mentre erano ancora turbati da questa inaudita novità hanno avuto un incontro nella fede con Gesù Risorto presso la tomba, sulla strada tra Gerusalemme ed Emmaus, ai bordi del lago di Tiberiade… Gesù non è apparso loro sfolgorante di luce, ma si è presentato con tratti umanissimi: un giardiniere, un viandante, un pescatore. Si è manifestato nella forma con cui lungo la sua esistenza aveva narrato la possibilità dell’amore. Per questo Maria di Magdala, sentendosi chiamata per nome con amore, risponde subito: “Rabbunì, maestro!”; i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù nello spezzare del pane, cioè nel segno riassuntivo di una vita offerta per tutti; è il discepolo amato che lo riconosce presente sulla riva del lago di Tiberiade e grida a Pietro: “È il Signore!”.

Davvero la vita di Gesù è stata riconosciuta come un amore trasparente, totale, gratuito, e quelli che lo avevano visto vivere e morire in quel modo hanno dovuto credere alla forza dell’amore più forte della morte, fino a confessare che con la sua vita egli aveva raccontato che “Dio è amore”!

Per questo Giovanni, nel capitolo 20 del suo Vangelo, non manca di fissare un tempo per un evento così decisivo. E scrive: “Il primo giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino…”.

Questa è la Pasqua, il giorno del Signore, il primo giorno della nuova storia, generato dal grande evento di morte e risurrezione. Cosa è avvenuto in quel primo giorno dopo il sabato? Maria di Magdala, con sollecitudine, va al sepolcro di Gesù mentre è ancora buio, vede la pietra ribaltata ma non riesce a capire cosa sia accaduto. Pensa: “Hanno portato via il corpo di Gesù!” e corre da Pietro e da Giovanni.

Il grido di questa donna attraversa il sorgente mattino della Pasqua, il suo è un grido di dolore e di amore: “Hanno portato via il Signore…!”. Maria di Magdala sa che Lui è il grande bene, è l’unico bene, ed è stato portato via. E allora corre da Pietro e da Giovanni come a risvegliarli a una consapevolezza: ci hanno portato via il Signore!

Maria di Magdala è la donna che “irrompe” nella comunità dei discepoli di Gesù, e oggi nelle nostre comunità, come per ridestarci a una responsabilità: non ve ne accorgete? vi stanno portando via il Signore! Ma ci pensate?

E il vangelo della risurrezione continua: Pietro e Giovanni alle parole della donna corrono verso il sepolcro di Gesù. “Correvano insieme tutti e due”: è il segno del loro attaccamento a Gesù. Quanto significativo questo correre dei due discepoli di Gesù nel mattino di Pasqua: corrono incontro alla Pasqua, corrono incontro alla vita.

Il correre di Pietro e di Giovanni assurge a simbolo del cammino di ogni uomo verso la fede nel mistero di Cristo risorto, e in quell’avventura è rappresentata l’avventura di ogni credente, anche la nostra di oggi: è la corsa verso la certezza della risurrezione.

Cristo risorto è l’inizio di una nuova umanità: siamo chiamati oggi a riscoprire con gioia e stupore che tutti noi riceviamo il dono pasquale della luce che elimina le tenebre della paura e della tristezza; a tutti noi è affidato oggi il dono pasquale della pace che spezza le catene della violenza e dell’odio. Si, il dono pasquale della pace: automaticamente il pensiero va alla mancanza di pace per tanta parte dell’umanità, per quanti nel mondo soffrono a causa della violenza e dell’odio. E, allora, viene spontaneo chiederci: e noi come stiamo vivendo questo nostro essere “dono di pace” per coloro che ci circondano? Preferiamo “rinchiuderci” nel tranquillo angolino delle nostre comodità e indifferenze, o “usciamo”, ricordando l’espressione di papa Francesco che ci invita ad essere Chiesa in uscita, dalle nostre anestesie e pigrizie per andare incontro al fratello?

Solo così la vita del cristiano si trasforma in Pasqua: è assolutamente necessario portare nella nostra città, nelle nostre famiglie, dentro il mondo del lavoro e della scuola come nel mondo della sofferenza, la serenità, la gioia, la speranza e la fiducia che nascono dalla certezza della risurrezione di Gesù.

La nostra fiducia nella risurrezione di Cristo è come un’ancora che siamo chiamati a gettare per tenerci saldamente attaccati alla speranza. Nelle nostre preoccupazioni e gioie quotidiane, come anche nelle nostre prove, possiamo rivolgerci a Cristo, perché Egli è vivo, anche se non sentiamo sempre la sua presenza.

Accogliamo la gioia della risurrezione! Non siamo più soli, Lui è con noi, e niente ci può separare dall’amore di Dio. Lasciamoci guidare dalla gioia della risurrezione! La risurrezione di Gesù è la più grande gioia, la maggior festa e verità che rafforza la nostra gioia nel Vangelo, la gioia dell’evangelizzazione. Ecco perché la notte di Pasqua è cantata nella liturgia del sabato santo come una notte felice.

E così, come ci ricorda il nostro papa Francesco: “Senza scoraggiarci per le nostre cadute, per i nostri peccati, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, animata dalla serenità e dalla gioia. Dio è la nostra forza! Dio è la nostra speranza!

Cari fratelli e sorelle, dobbiamo avere noi per primi ben ferma questa speranza e dobbiamo esserne un segno visibile, chiaro, luminoso per tutti. Il Signore Risorto è la speranza che non viene mai meno, che non delude (cfr Rm 5,5). La speranza non delude. Quella del Signore! Quante volte nella nostra vita le speranze svaniscono, quante volte le attese che portiamo nel cuore non si realizzano! La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all’eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele. Non dobbiamo dimenticare: Dio sempre è fedele; Dio sempre è fedele con noi. Essere risorti con Cristo mediante il Battesimo, con il dono della fede, per un’eredità che non si corrompe, ci porti a cercare maggiormente le cose di Dio, a pensare di più a Lui, a pregarlo di più. Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato. (…) Mostriamo la gioia di essere figli di Dio, la libertà che ci dona il vivere in Cristo, che è la vera libertà, quella che ci salva dalla schiavitù del male, del peccato, della morte! Guardiamo alla Patria celeste, avremo una nuova luce e forza anche nel nostro impegno e nelle nostre fatiche quotidiane. È un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l’alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio”.

Sollevando il nostro sguardo al volto di Cristo che noi Chiesa, confortati da questa esperienza, possiamo riprende il cammino, per annunciare Cristo al mondo, trasformandoci in luce del Cristo risorto. Infatti, chi fa il bene è nella luce, diventa luce: un buon consiglio è luce per i fratelli; una persona positiva è portatrice di luce, di entusiasmo, di speranza. Siamo chiamati ad essere luce, torce, fuoco che brucia. È necessario incendiare il mondo con il bene, la verità, la fratellanza, la giustizia e la pace. E lo Spirito Santo, luce dell’alto, continuerà attraverso il nostro operato a condurre la storia, a trasformare la vita, a dilatare i nostri cuori, a aprire le nostre menti, a agire nelle nostre coscienze, quello stesso Spirito Santo che rinnova la faccia della terra, consola gli afflitti e difende i deboli. Che le nostre buone opere siano luci che glorificano Dio e incoraggino gli altri, che questa luce non si spenga mai in noi perché tutto ciò che doniamo di bello, giusto e buono, nessuno può mai rubarlo. Che il nostro essere luce di Cristo sia espressione di un nuovo stile di vita, nella costruzione di un mondo migliore, di un mondo più divino nella sua profonda umanità, di un mondo più equo, più giusto, più solidale, più visibile, più fraterno.

Celebrare la Resurrezione diventa, allora, testimoniare la confessione di fede dell’impegno personale ed ecclesiale di essere nel e per il mondo, ogni giorno, uno spazio/tempo di speranza nella disperazione, un segno di gioia nella tristezza, di misericordia tra le tante forme di egoismo, un’opportunità di pace nella guerra, nel dolore e nella morte. È questo il nostro compito evangelico.

Voglio terminare questa riflessione con le parole del nostro papa Francesco: “Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù”.

Con affetto, sac. Mario Pellegrino
missionario fidei donum in Brasile

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