IL CAMMINO DELL’AVVENTO
- Giuseppe De Virgilio
Il tempo dell’avvento si schiude davanti a noi con un appello forte: essere capaci di attendere la venuta di Dio nella storia per saper accoglierlo nella nostra vita. Il segreto sta proprio nella consapevolezza della necessità di un autentico cammino di ricerca e di riscoperta dl nostro ministero presbiterale. Vogliamo rileggere questo prezioso «cammino di preparazione» attraverso la sintetica presentazione di tre figure a cui corrispondono tre verbi progettuali, rivelatori del mistero della Nascita di Gesù. Il mistero dell’incarnazione è di per sé avvenimento vocazionale nel senso più pieno, in quanto il Figlio accetta e risponde con tutto se stesso alla volontà del Padre: «Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7 cf. Sal 40,8-9). I tre protagonisti che presentiamo e i tre verbi da coniugare ci introducono all’incontro con il mistero del Cristo centro e pienezza della storia.
Tre protagonisti
Isaia
L’avvento è un tempo «profetico» nel quale si proclama la venuta del messia. Uno dei maggiori profeti che caratterizza l’annuncio messianico fu Isaia (il nome significa «Jahwe è salvezza». Un’antichissima tradizione ha assegnato all’avvento la lettura del libro profetico perché in esso si trova l’eco della grande speranza che ha confortato il popolo eletto nel corso della sua storia. Segnaliamo i temi principali:
– La vocazione (Is 6). La sua storia vocazionale ha come inizio la grande esperienza che Jahwe che rimarrà una costante in tutto il suo ministero: «Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!» (6 1,8). I profeta celebra la santità e la trascendenza divina e a partire da questa esperienza annuncia il disegno di salvezza che Jahwe compie sul popolo.
– L’appello principale che muove l’intera riflessione dell’avvento è dato dall’invito alla conversione (Is 1,15-17; 55,6-13), all’attesa della salvezza attraverso l’autenticità della fede, che non deve fa porre la fiducia nei mezzi umani (Is 7,10-13; 8,6; 28,15; 30,1-3; 31,1-3). Il peccato più grave è quello dell’incredulità che indica la non accettazione della centralità e della provvidenza di Dio (Is 5,18-19; 10,15; 29,9-12; 30,8-11).
– Il libro di Isaia annuncia soprattutto una grande speranza: la nascita dell’Emmanuele (Is 7,14) che rappresenta la garanzia dell’intervento di Jahwe a favore del suo popolo. Il re è salutato come strumento di vittoria (Is 9,1-6) ed è presentato come colui che inaugura la giustizia e la pace: «Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace…». Lo Spirito di Dio investirà il suo eletto dei doni del governo per rinnovare il popolo e instaurare il regno messianico (Is 11,1-9).
Giovanni Battista
Un secondo protagonista del tempo di avvento è il precursore di Gesù, Giovanni il Battista. I vangeli sinottici presentano la figura del Battista collegata con le profezia di Is 40,3 e di Ml 3,1 (cf. Mc 1,2). La sua funzione di «preparare al strada» rappresenta un aspetto costitutivo del messaggio spirituale contenuto nella pedagogia del tempo liturgico, da leggersi in rapporto alla venuta di Gesù e alla sua missione salvifica. Evidenziamo i principali aspetti:
– la narrazione delle origini del Battista è posta in stretto collegamento (intreccio narrativo e teologico) con la nascita di Gesù (Lc 1-2). Infatti i racconti dell’infanzia di Giovanni, riletti mediante allusioni ed interpretazioni attualizzanti dell’Antico Testamento, vengono posti in parallelismo con le origini di Gesù, evidenziando la superiorità e la missione divina del Cristo;
– La sua predicazione, ispirata sul modello della profezia apocalittica, possiede una funzione iniziatica ed introduttoria, da interpretarsi nella prospettiva cristologica: «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco» (Mt 3,11). La rilevanza della sua predicazione è confermata in tutti e quattro i vangeli (Mt 3,5s; Mc 1,5; Lc 3,3; Gv 1,27s).
– Precursore del Cristo, Giovanni ne diviene il battezzatore, rivestendo così un primario ruolo testimoniale e simbolico, in quanto è figura dell’Antico Testamento che si apre di fronte all’arrivo del Nuovo: «In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,13-15). Il conferimento del battesimo è un tratto distintivo dell’attività di Giovanni, mediante il quale si richiamavano le folle alla conversione, preparandole all’avvento del Regno. La narrazione del battesimo di Gesù presso il Giordano (Mt 3,13-17; Mc 1,9ss; Lc 3,21s; Gv 1,31s) riveste un significato teologico di grande rilevanza per l’intera interpretazione della persona e della missione di Cristo nei vangeli.
– E’ l’evangelista Luca a riferire dell’arresto di Giovanni per ordine del tetrarca Erode (Lc 3,19-20), dovuta alla sua coraggiosa denuncia che gli costò la vita. Mentre era rinchiuso nella fortezza del Macheronte, Giovanni invia un’ambasciata a Gesù (Mt 11,2-6; Lc 7,18-23) per chiedere conferma dell’identità del suo messianismo. Nello splendido elogio che il Signore fa del Battista (Mt 11,7-15), si paragona Giovanni alla figura di Elia: «Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te » (Mt 11,7; cf. Ml 3,1; At 13,24-25), e lo si identifica come il «profeta» e l’uomo «più grande» che sia mai esistito.
– E’ importante presentare sommariamente le riletture teologiche che gli evangelisti hanno fatto di questo personaggio «di passaggio» tra l’attesa dell’antico tempo e l’inaugurazione del tempo messianico. Secondo Matteo il Battista raffigura l’essenza del profetismo veterotestamentario, con le caratteristiche proprie della profezia apocalittica (radicalità, purificazione e conversione dei peccati, annuncio di speranze escatologiche, ecc.). In Marco la figura di Giovanni fa già parte del «vangelo» di Gesù Cristo (Mc 1,2-3) e si ripropone sulla scorta di Elia (Mc 9,13; cf. 1Re 19,2.10) come «profeta sofferente», che nella sua morte anticipa segretamente il mistero del croficisso (nel racconto di Mc 6,17-29 viene usato lo stesso vocabolario che sarà impiegato per la morte di Cristo). In Luca il Battista è collegato alla persona di Gesù per via dell’aspetto profetico (Lc 1,15.17). Egli annuncia il giudizio imminente, chiede penitenza ed indica gli impegni pratici da vivere (Lc 3,10-15), svolgendo una missione speciale «più di un profeta» (Lc 7,26), anzi come l’ultimo dei profeti (Lc 16,16) e per questo rimane nel periodo dell’Antico Testamento. Nel quarto vangelo il Battista acquista un ruolo di sommo grado non tanto come precursore, ma come «testimone» del messia già presente (Gv 1,20s), definendo se stesso come l’amico dello sposo (Gv 3,29), lampada che arde (Gv 5,35), voce che rende testimonianza alla Parola incarnata (Gv 1,15).
La vergine Maria
La rilevanza della figura della Vergine Maria si segnala attraverso l’intera storia della salvezza e in un modo tutto speciale nel tempo dell’Avvento. Possiamo tratteggiare la figura di Maria come «vergine dell’avvento» attraverso alcune espressioni bibliche a lei riferite:
– «piena di grazia» (Lc 1,28): se l’avvento è annuncio di un «tempo vocazionale» esso ha come modello della risposta alla «grazia» di Dio la Vergine Maria in tutta la sua esistenza. L’annuncio dell’angelo la definisce «ricolma di grazia» cioè «trasformata dall’amore» nel suo cuore da Dio che «è con lei». La santità di Maria è da leggersi in vista del mistero dell’incarnazione, secondo il progetto del Padre celeste. Dio chiama Maria ad entrare nel suo progetto di salvezza dell’umanità. Maria in quanto «donna di grazia» diventa il modello vocazionale per ogni credente.
– «eccomi sono la serva» (Lc 1,38): la scena dell’annunciazione è come un «piccolo vangelo» che introduce al «grande vangelo» di Gesù. In questa reciprocità, la Figura di Maria è associata a quella del «servo sofferente» che sarà incarnata dal Gesù suo figlio (Gv 13,12-15), che nella passione gloriosa riveste la figura del «servo sofferente» (Mt 16,21; 20,19; cf. Fl 2,7) e come «agnello di Dio » (Gv 1,29) dona la vita «in riscatto per molti» (Is 53,11). Definendosi «serva» (in greco: doulê) la vergine si riconosce «strumento» nelle mani di Dio, dando così inizio all’avvento del Regno nella storia.
– «beata colei che ha creduto» (Lc 1,45) è l’espressione profetica di Elisabetta che accoglie Maria nella sua casa e ne riconosce la grandezza nella fede. L’avvento di Dio è così prefigurato nella nascita straordinaria del Battista, indicato come «segno» dall’angelo del progetto che stava per compiersi. La fede della Vergine di Nazaret è la componente essenziale della sua risposta al progetto divino. Credere significa consegnarsi nelle mani del Padre, affinché si realizzi il suo disegno di salvezza (cf. la rassegna dei personaggi della fede in Eb 11).
– «l’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46) costituisce il canto di lode e di ringraziamento che la Vergine innalza all’Onnipotente, una vera sintesi della teologia della storia, posta all’inizio del vangelo lucano per fornire le coordinate interpretative dell’opera di Dio con i piccoli e gli umili (Lc 1,53). Maria è la donna della preghiera e l’avvento diventa un «tempo di preghiera» dove la lode si unisce alla domanda incessante, affinché si compie la promessa della liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato (Lc 1,55).
– «serbava… meditando nel suo cuore» (Lc 2,19) indica l’atteggiamento contemplativo del credente di fronte al mistero della rivelazione di Dio. Fin dal racconto natalizio la presenza silenziosa e discreta della Vergine Madre che accoglie, ama e protegge il Figlio rivela lo stile che caratterizzerà tutta l’esistenza «vocazionale» di Maria: discreta mediatrice nelle nozze di Cana (Gv 2,3-5), umile discepola di Gesù nella vita pubblica (Lc 8,21), coraggiosa testimone del suo sacrificio cruento (Gv 19,25-30), madre amorevole nella comunità cristiana (At 1,14).
– «una spada trafiggerà a te l’anima» (Lc 2,35) è l’annunzio profetico del saggio vecchio Simeone che mosso dallo Spirito, rivela il mistero del dolore salvifico della Madre. Maria sarà così la donna dei dolori, immagine della «figlia di Sion» (Lam 1,12.18) e si unirà al dolore del Figlio (Mc 8,31) per la redenzione dell’umanità. Infatti l’avvento come tempo di attesa e i preparazione è da considerasi anche «tempo penitenziale», perché unisce intimamente la gioia della Natività del Signore al suo commino verso la croce.
Tre verbi
In connessione con i personaggi presentati si evidenziano tre verbi tipici del tempo di avvento: consolare, vegliare, visitare.
«Consolare»
La consolazione nasce come esigenza di colmare il vuoto provocato dall’esperienza umana del dolore e della tristezza. Così nel corso degli eventi biblici il verbo viene impiegato nell’esperienza drammatica della rovina del regno e del castigo dell’esilio, sciagure provocate dal peccato del popolo che è bisognoso di consolazione (Is 49,14; 54,6-8). Nei tempi di discernimento e di crisi viene suscitata dai profeti l’attesa del Dio consolatore. Jahwe risponde al popolo che soffre con un appello di speranza: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-3). Dopo il castigo dell’esilio Egli si muoverà in favore del popolo per mantenere le promesse fatte dai profeti (Ger 31,13-16 cf. Sir 48,24) e il suo intervento sarà realizzato con la consacrazione e l’invio del suo servo, il quale sarà una «consolazione per Israele» (Is 61,2; Zc 1,13). L’azione del consolare presenta l’intervento salvifico con alcune immagini: Dio consola il popolo con la bontà di un pastore (Is 40,11; Sal 23,4), con l’affetto di un padre (Is 54), con la tenerezza di una madre (Is 49,14-15; 66,11-13), con l’ardore di un fidanzato (Is 54,5; 62,4; Ez 16; Os 1-3). Nel Nuovo Testamento Gesù rivela con la sua vita e il suo messaggio evangelico il «Dio che consola» (Lc 4,18-21), proclamando ai poveri e agli afflitti la gioia della consolazione del Padre e il dono del regno (Mt 5,5). L’invito rivolto agli uomini di affidarsi alla provvidenza del Padre (Mt 11,28-30) e i segni di speranza e di consolazione contenuti nelle opere miracolose (Mt 9,2.22) rendono la missione del Cristo un autentico annuncio della «consolazione di Dio». Essa non termina con il ritorno di Gesù al Padre, ma nella Pentecoste è lo Spirito che continua l’opera della «consolazione» nei credenti, i quali affrontano con coraggio le sfide e le persecuzioni del mondo (At 9,31). Riflettendo sul mistero cristiano l’apostolo Paolo afferma che la consolazione nasce dalla stessa esperienza del dolore quando questo è unito nella fede alle sofferenze di Cristo (2Cor 1,3-10). La comunità cristiana fin dalle sue origini ha imparato ad esercitare il ministero della consolazione, nel quale riluce la testimonianza più viva che è sempre Dio colui che consola l’uomo nella faticosa ricerca della sua volontà (1Cor 14,3; Rm 15,5; 2Cor 7,6). Comprendiamo allora come l’invito alla consolazione è annuncio di un avvento che suscita una preparazione, per la quale i credenti sono chiamati a camminare nella speranza in attesa della venuta del Messia.
«Vegliare»
L’invito a vegliare costituisce un ulteriore atteggiamento di preparazione, che si traduce nell’essere vigilanti e nel saper attendere il compimento della promessa. L’appello alla vigilanza è spinto da diverse motivazioni: l’uomo deve vegliare per avere in dono la prudenza (Prv 8,34), per prolungare il suo lavoro (Sap 6,15), sul proprio comportamento (Sal 39,2; Sal 127,1-2), in segno di penitenza per chiedere il perdono a Dio (Gl 1,13). Mentre Dio stesso si presenta come colui che veglia sugli uomini (Gb 34,29), soprattutto sui passi dei giusti e di quanti lo temono (1Sam 2,9; Sal 1,6; 33,18; Prv 2,8). Per il credente l’invito a vegliare tra duce la capacità di essere pronti ad accogliere il Signore, quando verrà il suo giorno. In questo senso l’esortazione alla vigilanza è sottolineata da Gesù nei vangeli, a conclusione del discorso sulla venuta del «figlio dell’uomo» (Mc 13,33-37 e paralleli). Per esprimere l’imprevedibilità della venuta finale del «figlio dell’uomo», Gesù si serve di paragoni e parabole: la sua venuta è imprevista come un ladro di notte (Mt 24,43-44), è simile ad un padrone che nella notte fa rientro in casa senza preavviso (Mc 13,35-37) e il credente non dovrà farsi trovare impreparato o vinto dai piaceri e dai beni terreni (Lc 21,34-36). Soprattutto per i discepoli la vigilanza dovrà essere una componente essenziale del loro responsabilità, mediante un servizio produttivo e fedele (Mt 25,1-30) e una costante preghiera (Lc 21,36). Nei vangeli la menzione della veglia accompagna come una grande inclusione la gioia della nascita di Gesù (Lc 2,8) e il dolore del suo distacco dal mondo (Mt 26,41). L’impiego del verbo ritorna nel contesto della problematica escatologica affrontata da Paolo (1Ts 5,1-7), il quale presenta il modello del credente come «figlio della luce», sempre vigilante per non lasciasi sorprendere dalla parusia del Signore (Rm 13,11-14). Nell’Apocalisse il messaggio della vigilanza è rivolto in modo particolare alla chiesa di Sardi (Ap 3,1ss.), mentre si proclama beato «colui che veglia» mentre il Signore sta per arrivare (Ap 16,15).
«Visitare»
L’idea della visita associata al tema dell’ospitalità percorre l’intera Bibbia e comprende molteplici aspetti della riflessione teologica (etnici, religiosi, etici, cultuali, ecc.). Escludendo le applicazioni del verbo all’attività degli uomini si rileva in una forma privilegiata che Dio in persona è considerato, in virtù dell’alleanza, «colui che visita il suo popolo», nel senso che prende l’iniziativa di intervenire nella vita di Israele per benedire o punire, ma pur sempre con una finalità salvifica. Nella storia dei patriarchi emerge con insistenza l’idea che Dio visita per realizzare un prodigio (la fecondità di Sara, Gn 21,1s; l’immagine sarà ripresa in diversi casi di maternità straordinaria: Anna, Elisabetta, Maria), per indicargli la strada della terra promessa (Gn 50,24s) dopo averlo liberato dalla schiavitù egiziana (Es 4,31, 13,19). Alla luce degli impegni collegati al patto sinaitico, la visita di Jahwe in favore del suo popolo costituisce la manifestazione della sua fedeltà alle promesse e conseguentemente il castigo per i peccati è ordinato alla purificazione e alla salvezza del popolo. In questo senso la predicazione profetica evidenzia lo stesso criterio: Dio benedice con la sua visita la fedeltà del popolo (Sof 2,7; Rut 1,6) e lo corregge punendolo per la sua iniquità (Am 3,2; Os 4,9; Is 10,3; Ger 6,15; 23,2.34). Jahwe è presentato come «pastore di Israele» (Ez 34) che visita e si prende cura del suo gregge, ma è visto come colui che annienta l’arroganza dei popoli nemici (Ger 46,21-26; 48,44; 50,18.27.31) e che desidera anche per essi la salvezza (Ger 12,14-17; 16,19). Nell’espressione della preghiera salmica l’atto di visitare da parte di Dio ricopre una particolare attenzione: l’immagine di Israele come «vigna» è ripresa nel Sal 80,15-16: «Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato», così come l’invocazione della salvezza: «Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la tua salvezza» (Sal 106,4). A partire dall’esilio babilonese si afferma l’idea di una «visita definitiva» di Dio nella quale il Signore verrà a giudicare Israele e le nazioni della terra: questo giorno di Jahwe costituirà il giorno del trionfo degli eletti e il Signore regnerà per sempre (Sap 3,7; Sir 2,14). Su questo retroterra va interpretato il cantico di Zaccaria che inizia proprio con le parole: «Benedetto il Signore Dio d’Israele perché ha visitato e redento il suo popolo» (Lc 1,68). L’intero vangelo è permeato dalla concezione che Dio ha visitato e redento il suo popolo nella missione del suo figlio Gesù, il quale annuncia il giudizio escatologico e la venuta del Regno: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,16).
Nella sua missione Gesù insisterà soprattutto sul carattere salvifico di questa visita e sul suo aspetto universale (Lc 3,6; cf. 1Pt 2,12). Tuttavia una ulteriore componente della visita di Dio è data dalla libertà di accoglienza da parte del «mondo» (Gv 1,11) su cui incombe la responsabilità di saper riconoscere il «tempo della visita» (Lc 19,43-44). Nella nota parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46), il Signore si presenta come colui «chiederà i frutti» e la sua venuta finale compirà la giustizia mediante un giudizio definitivo sulla storia (cf. Mt 25,31-46). Il Dio cristiano è un «Dio che viene» e nel messaggio contenuto dal verbo si indica l’impegno di ciascuno ad «andare incontro allo sposo» (1Ts 4,17; Mt 25,6). Ogni discepolo è invitato personalmente ad accogliere la visita di Gesù, il viandante che bussa alla porta e chiede di entrare nell’intimità del cuore umano: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). E’ questo lo spirito dell’Avvento, tempo di forte preghiera e di vigilanza (Mt 24,42ss; 25,13) in attesa del giorno finale in cui «…apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» (Eb 9,28).
Conclusione
L’itinerario proposto ci ha permesso di gettare uno sguardo sulla grande proposta del terzo evangelista e sullo spirito del tempo di Avvento, per cogliere alcuni punti essenziali della pedagogia divina. La comune esperienza dei protagonisti di questo tempo e la profondità dei verbi-chiave evocati, provoca ciascun credente e soprattutto coloro che sono chiamati a presiedere nella carità, a «rientrare in se stesso» per rileggere la propria vita nella prospettiva dell’incontro trasformante con il Cristo che viene.
Si potrebbero rappresentare in sintesi i motivi della preparazione al Natale, raffigurando una «stella dell’avvento» nei cui vertici ha i protagonisti e i verbi che caratterizzano questo tempo forte:
consolare
Isaia Giovanni B.
visitare vegliare
Maria