Domenica delle Palme
Se l’uomo non sa essere figlio, Dio, di sicuro, sa fare il Padre
(Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23.56)
Ascoltiamo il Vangelo:
“… Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori…. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò…”
L’amore di Dio per l’uomo, per ogni uomo, di tutti i tempi, è onnipotente. Sì perché lui, essendo onnipotente, tutto ciò che fa lo compie con la sua onnipotenza. Dio non può dare semplici cose “Non può dare nulla di meno di sé stesso” (Meister Eckart), ma “dandoci sé stesso ci dà tutto” (Caterina da Siena). “Dove c’è Dio c’è tutto e dove c’è tutto non manca nulla” (san Bernardo). Quindi all’amore che Dio ci dona non può mancare nulla e non è appena sufficiente ma abbondante, totale. La parola ci ricorda: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Giovanni 13,1).
Dio non si è risparmiato ma, da esagerato qual è, ha sacrificato il suo unigenito per la nostra salvezza. Poteva lasciarci inabissati nel nostro peccato, invece ha voluto redimerci. Ci poteva redimere condonandoci il debito, invece ha voluto dimostrarci come ci ama. La croce diventa il simbolo eloquente e cruento di questo amore. Sconfinato. Gratuito. Immeritato. Preveniente.
Difatti proprio queste sono le caratteristiche del vero amore, dell’amore genuino. Dell’amore con cui Dio ci ama. E siccome l’amore non si merita, ma lo si accoglie, Dio ci ama quando non lo meritiamo, quando ci allontaniamo da lui, quando lo escludiamo dalla nostra vita, dai nostri orizzonti, dal nostro cuore.
Il mistero dell’amore di Dio per l’uomo è più grande del mistero stesso di Dio. Come fa un Dio onnipotente ad amare visceralmente l’uomo che si è reso verme. “Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente” (Salmo 21,7). Ma Dio ama proprio questo verme perché lui l’ha creato a sua immagine e somiglianza. Se l’uomo non sa essere figlio, di sicuro Dio sa essere padre.
Dio muore per amore dell’amore nostro. Dio non si risparmia. Non bada “a spese”. Non risparmia Gesù, ma lo offre come agnello di espiazione, vittima innocente. Chi ama l’uomo in questo modo? Nessuno! Ma perché si fa tanta fatica ad accettarlo, a ringraziarlo, a vivere come lui ci indica? Evidentemente perché non ci confrontiamocon la tragedia della morte di Dio per l’uomo. Perché non guardiamo al crocifisso. Siamo analfabeti perché non ci sappiano leggere scritto, col sangue, il suo amore per noi. “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Giovanni 19,37). Guardiamo la croce di Cristo impariamo il suo alfabeto e impariamo a leggere che lì, in quella sconfitta c’è la nostra vittoria, in quella ignominia c’è la verità, in quella morte c’è la nostra vita, in quell’abbandono c’è l’abbraccio misericordioso del padre per ognuno di noi.
“Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo”. La forza di quella morte ci coinvolga, il grido di Gesù morente: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” giunga ai nostri orecchi perché non lo abbandoniamo ma attingiamo alla sorgente del suo amore: la sua morte in croce per me!
Don Benito Giorgetta