Rallegrati Gerusalemme!
2Cr 36, 14-16.19-23; Ef 2, 4-10; Gv 3, 14-21
Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.
Come da tradizione la IV domenica di Quaresima è denominata da tutta la Chiesa Cattolica – così come da altre chiese di confessione cristiana – “domenica laetare”. Apparentemente, dati i connotati penitenziali di questo tempo liturgico, attribuirle tonalità gioiose potrebbe sembrare inusitato o, addirittura, inopportuno. Evidentemente, non è così.
Principalmente, le motivazioni che giustificano un tale appellativo risiedono nella liturgia stessa: l’antifona introitale della messa, infatti, inizia proprio con le parole «Laetare Jerusalem». A tutto ciò, poi, si deve anche aggiungere il percorso che la Quaresima stessa ci offre attraverso le sue domeniche. La prima di queste si concentra sulle prove che Gesù ha dovuto affrontare durante i quaranta giorni di permanenza nel deserto. La domanda essenziale che ne vien fuori è su che tipo di Messia sarebbe stato Gesù. La seconda domenica, poi, mette in risalto le prove di fede che il credente deve affrontare: quale Dio credere? Quale Messia seguire? Quale amore vivere? La terza domenica, invece, sviluppa il tema della libertà e della liberazione. Questa segna i ritmi di due necessari passaggi: da un ordine cultuale a uno personale; dal paradigma dello scambio a quello del dono. Ora, come collocare l’ordine della gioia e del rallegrarsi in tutto ciò?
Il libro delle Cronache narra di un Dio che punisce con durezza l’infedeltà del suo popolo e l’esilio ne sarebbe prova concreta. In Dio, allora, esistono delle oscurità? La risposta giunge “lieta” dal Vangelo. Il dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, finalmente, dona luce nuova all’argomento: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Con tale dichiarazione Gesù comunica al mondo che non c’è più spazio per l’ambiguità e la falsità: in Dio tutto è luce e misericordia. Come il sole non può generare il freddo, così da Dio non può provenire il male. La domenica del rallegrarsi, allora, inserita nella logica quaresimale, manifesta in Gesù stesso il dono più alto che il Padre fa all’umanità: è questa la vera gioia! Tale dono è pertanto gratuito, non richiede altro che la fede. Inoltre, è un dono eccedente: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2, 4-5).
Nel discorso con Nicodemo si trova anche risposta a tutte le domande sorte finora. Gesù – attraverso il riferimento all’episodio di Mosè che innalzò il serpente nel deserto – annuncia la necessità del suo stesso innalzamento sul legno della croce. L’innalzamento è emblema della sua glorificazione. La croce, allora, è la risposta vera alle domande: Quale Messia? Come essere Messia? Quale amore? La croce, nella sua materiale realtà, è un condensato simbolico del dono fatto da Dio all’uomo, della sua eccedenza e della sua asimmetria. La gioia quaresimale, quindi, è il simbolo del cammino di verità che mira alla presa di coscienza del nostro peccato; ed è proprio la scoperta di questa verità che garantisce la nostra gioia.
Giuseppe Gravante