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XVII Domenica Tempo Ordinario – C
(Genèsi 18, 21-21. 23-32; Colossèsi 2, 12-14; Luca 11, 1-13)
Pregare è “fare il pieno” di Dio
Ascoltiamo il Vangelo:
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“Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!»”.
In genere, quando si prega, se si prega, siamo soliti rivolgerci a Dio in modo diretto, ma in forma singolare. Gesù, a cui viene chiesto d’insegnare a pregare, suggerisce un altro modo: quello plurale. Non chiedere solo per se stessi ma per tutti, non lodare da solo ma in coro. Si perché Dio no è Padre di figli soli ma di una moltitudine di fratelli, unici e irripetibili, a lui tutti cari e per lui tutti importanti. Uscire dal proprio recinto, fare squadra, essere e sentirsi popolo, comunità, ecco il segreto. D’altronde lo aveva anche detto Gesù stesso: “In verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19-20). Il segreto è l’unità la pluralità.
Per molti pregare è chiedere. Per Gesù No. Per lui pregare è attaccarsi alla vita, attaccare la bocca alla fontana, alla sorgente. E’ nutrirsi di bocconi e sorsi d’aria che beneficano e bonificano il cuore, la mente, la vita tutta intera. Pregare è “fare il pieno” di Dio, è diventare zolla che accoglie la sua presenza, il suo seme. Pregare, per Gesù è far scorrere nel sentiero del proprio cuore i volti, le immagini, le situazioni dei fratelli. E’ come vedere un film in cui i protagonisti sono le necessità dei fratelli e non quelle proprie.
La madre di tutte le preghiere è quella che ci fa invocare Dio col nome di Padre. Padre come fonte viva, Padre perché inizio di percorsi inediti, Padre perché datore di vita, di ogni forma di vita. Padre perché da lui dipende tutto. Padre perché lui provvede a tutti. Padre perché Dio a cui chiediamo Dio, perché lui non può che dare se stesso.
Un Padre che, però, prima di dare deve essere riconosciuto, amato, accolto. “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà….” Perché accade questo, perché si crede in questo ci si può rivolgere a lui per attirare lo sguardo sulle necessità quotidiane che lui, tra l’altro, conosce già perché ci ama e, “perfino i capelli del nostro capo sono contati”. Un Padre che non ci abbandona nella prova ma ci dà forza, tenendoci sulle sue ginocchia, per non farci soccombere dinanzi alla tentazione.
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