L’utile inutilità di chi serve per amore di Dio
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
La fede è un combattimento quotidiano di fedeltà nostra alla provocazione di Dio. Prima di avere fede noi in lui, è lui stesso che l’ha già avuta in ciascuno, quindi, la nostra, è solo una risposta, una capacità di corrispondenza, di adesione, di accettazione. Allora, avere fede, significa esprimere un atto di grande libertà, di risposta ad una chiamata. La domanda dei discepoli di vedere aumentata la loro fede con un intervento divino, quasi fosse un aumento “stipendiale”, non può essere esaudita. Dio non è il distributore a cui facciamo ricorso per fare il pieno. La fede nasce dal cuore come esigenza di relazione con lui che si propone ma non impone. Avere più o meno fede non dipende da quanto entra in noi ma da cosa siamo capaci di generare nel cuore come risposta di adesione, condivisione, abbandono alla chiamata divina.
Questa relazione, se nasce ed esiste, è talmente preziosa, potente che ne basta poca per operare grandi cose. Tutti gli insegnamenti di Gesù vanno nella direzione della prevalenza della qualità sulla quantità. Anche in questo caso. Lui parla di lievito, di ultimi, di piccoli, di soli, di abbandonati, di periferie, di peccatori, di affamati, bisognosi. Solo dove c’è umiltà c’è posto per Dio. Dove impera l’egoismo, la forza della quantità, non c’è posto per null’altro che per se stessi e tutto è in funzione del proprio personale tornaconto e profitto.
“Servi inutili a tempo pieno” affermava don Tonino Bello. Ed è proprio questa l’utile inutilità, quella donata per amore. Servire per servire, come amare per amore. Si racchiude qui il segreto di chi si pone accanto agli altri per essere utile, per servire e non servirsi. Questa scelta e stile di vita diventano utili perché insegnano, esemplarmente, a porsi al servizio gli uni degli altri. Non è il servizio che è inutile, anzi. Non si cerca il proprio profitto, ma il bene-essere degli altri. La gioia del servire è data dal risultato che raggiunge colui a cui abbiamo dato considerazione e al cui servizio ci si è posti. Una mamma che accudisce i figli trova consolazione e ragione di esistere nella crescita dei figli e non nella sua autogratificazione.
Gesù stesso per sé non ha scelto altri nomi se non quello del servo “come lui sarò anch’io, perché questo è l’unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare” (E. Ronchi). L’armonia di una chitarra, di una cetra, di un’arpa, non dipende dallo strumento, ma da chi, sapientemente, li tocca facendoli vibrare, così chi opera non siamo noi ma la forza dell’amore che nasce da un cuore sereno e appagato perché si sente amato. Ecco la fede: servire per amore.